Textos e reflexões de Rodrigo Meireles

7.11.10

Non ci sono spine senza rose

A febbraio 2010, è stata pubblicata sulla rivista Cidade Nova, in Brasile, una materia sulla mia esperienza di vita, in cui vengono messi in rilievo fatti significativi. Il giornalista Daniel Fassa, a partire da interviste realizzate a me ed a mia mamma, è riuscito a descrivere bene alcuni dei momenti più importanti in un testo al tempo stesso semplice e brillante. Ora, con gioia, condivido quest'esperienza anche in italiano.

Non ci sono spine senza rose

Il significato del dolore nella vita di un bambino che supera ogni fase fino a diventare un giovane felice ed intraprendente. La traversia di Rodrigo Fernandes Meireles ci va vedere i frutti del dolore abbracciato, accettato e trasformato.

Daniel Fassa
Traduzione: Rodrigo F. Meireles e Tommaso Bertolasi

“Fino lì, molto camminai. Mi avventurai camminando in quella strada piena di curve e di misteri. Cercai di svelare ogni immagine che appariva, ogni suono che udivo, ogni sensazione. Sempre proseguii avanti, non avevo ragione per fermarmi. Sentii che niente poteva trattenermi. E così sfidavo i sentieri che trovavo. Può sembrare che stessi camminando da solo, ma non mi sentivo così solo, anche quando nascevano dubbi circa tale compagnia. Qualcuno camminava con me e sentivo ciò nelle profondità del mio io”. 

Dietro queste parole del racconto “La Rosa”, di Rodrigo Fernandes Meireles, si nasconde tutta una vita: sfide, superamenti, gioie e grandi scoperte. Una vita di incontro con una rosa.

Rodrigo nasce il 30 novembre 1982, a Fortaleza (CE) Brasile, in una famiglia cattolica. Nelle parole della mamma, “era un bambino felice, sempre allegro e sorridente, sempre sereno. Gli piaceva giocare con i mattoncini di legno, con Playmobil, e passava ore concentrato in qualche giocatolo, il più delle volte, chiacchierando con degli amici immaginari. Era un bambino precoce, che imparava velocemente e presto andò in scuola. Gli piaceva molto cantare e sapeva a memoria tutte le canzoni infantili che gli insegnavamo. Non era mai di mal-umore e la sua gioia e vivacità ci contagiavano, ci disarmavano quando qualcosa ci lasciava tristi. A scuola, si trovò bene con gli altri bambini e anche lì era un bambino allegro: la sua gioia accattivava a tutti”.

Allegria e gioia sempre furono i segni distintivi di Rodrigo, dall'infanza alla gioventù, in tal modo che non sempre era facile immaginare la misura delle sfide che affrontava ogni giorno. Rodrigo nasce con la Sindrome di Crouzon, una malattia genetica che impedisce la crescita del cranio e, conseguentemente, di uno sviluppo normale del cervello, e che può generare problemi neurologici, perdita di tutte le funzioni motorie, ritardo mentale e perfino la morte. Perciò, fino ai 23 anni, si sottomise a sette interventi chirurgici.

“Quando seppi che Rodrigo aveva la Sindrome di Crouzon pensai al suo futuro: come sarebbe difficile la sua vita, in una società edonista, che valorizza la bellezza, l'estetica; quante difficoltà sarebbero venute fuori per la sua vita sociale, per quanti rifiuti sarebbe dovuto passare; e poi, quanta sofferenza fisica avrebbe dovuto superare con ogni intervento chirurgico necessario e quante conseguenze sarebbero potute sorgere in virtù di quella male formazione” - ricorda Tereza, sua mamma. “Avrebbe avuto uno sviluppo psicomotorio normale, cognitivo o avrebbe presentato qualche ritardo in futuro? Dinnanzi a questo quadro poco favorevole, capii che Rodrigo aveva bisogno più che mai di essere amato e protetto. Allora, decisi nel mio intimo di essere lo scudo di mio figlio, di dare la vita per lui, di lottare per lui, di proteggerlo in tutte le maniere possibili, per assicurargli un tratamento adeguato, che favorisse il suo sviluppo ed anche la sua socializzazione”, continua lei.

I genitori presero la responsabilità di affrontare con il bambino le difficoltà ed aiutarlo in tutto. La sofferenza e le preoccupazioni di loro erano immense, ma cercavano di non dimostrarle per trasmettere a Rodrigo soltanto la sicurezza e l'orgoglio che avevano di lui.

Il primo intervento chirurgico fu fatto a Fortaleza, ai soli due mesi di vita, con esito positivo. Dopo di essa, il tratamento venne portato avanti da un'equipe di medici di São Paulo, generando molti e lunghi viaggi. Il secondo intervento, inizialmente previsto dopo 5 anni, avvenne d´urgenza, quando Rodrigo aveva ancora tre anni, a causa di un'inaspettata ipertensione intracraniana che si manifestò con delle convulsioni. Quella volta, un'infezione ospedaliera protrasse il ricovero per un mese.

Il quadro clinico solo peggiorò, l'infezione era ormai generalizzata e neppure i migliori medici riuscivano a recuperare la salute di Rodrigo. Fu un'esperienza molto intensa, come racconta Tereza: “Capii che non siamo veramente niente e dinnanzi a quella situazione decisi di donarmi totalmente a Dio. Fu proprio lì, in quel dolore immenso, che Dio mi si rivelò ed io risolsi di seguirLo. Poco dopo, Rodrigo ricevette la visita di un sacerdote, che li applicò l'unzione degli infermi. Con nostra sorpresa, qualche giorno dopo, si risollevò, senza febbre e senza qualsiasi segno di infezione”.

Infatti, qualche anno dopo, Tereza abbracciò una consacrazione speciale nell'ambito del Movimento dei Focolari, che aveva conosciuto dai genitori e, sopratutto, dagli inumerevoli membri che si fecero presenti nella vita della sua famiglia durante il tratamento di Rodrigo.

Dopo la lunga fase di crescita, arrivò il momento di un terzo intervento chirurgico. A 12 anni, Rodrigo potè fare un passo importante: “Mia mamma mi disse: 'fin qui t'ho seguito, abbiamo viaggiato insieme a São Paulo e sono stata sempre accanto a te. Ora puoi già decidere cosa vuoi fare e come vuoi fare'. Fu la prima grande scelta cosciente che feci, il primo grande passo in cui ebbi potuto dare, personalmente, il mio sì”. Rodrigo aveva ragione. Quel “sì” personale del 1995 era il primo di molti che disse da lì in poi; principalmente, nei momenti di grandi dolori.

Nel 2000, a 17 anni, visse l'intervento chirurgico più difficile e doveva rimanere a São Paulo per un mese. Tutta la famiglia era insieme per quell'intervento. Rodrigo ricorda anche dell'atmosfera tranquilla che anticipò quell'occasione: “Le infermiere ci guardavano chiacchierare, seduti sui letti e sui divani dell'apartamento dell'ospedale. Non sembrava che qualcuno stesse soffrendo. Il clima tra noi era molto positivo, era un'atmosfera che mi faceva respirare quella scoperta dell'Amore di Dio”.

Nel periodo post-operatorio, in un giorno di intensi dolori, Rodrigo gridò, assorto in una forte sofferenza. C'era soltanto sua mamma nella camera, che lo prese per mano e disse col suo immenso amore di mamma: “ora siamo su un ponte. Che possiamo fare? Attraversiamo il fiume o restiamo qui?” Rodrigo aveva bisogno di continuare a fare i suoi passi, il suo “sì”. Non poteva fermarsi lì. E non si fermò, come narra nel suo racconto “La Rosa”:

“Ricordare quel ponte è ricordare un momento di gloria che è per me indimenticabile. Non fu facile attraversare un ponte che, tanto lungo e complicato, sembrava aumentare ad ogni mio passo. Era assicurato da qualche corda poco fidabile ed era composto da parecchi pezzi di legno. Tra questi pezzi c'erano delle breccie che spaventavano chi osasse attraversarlo. Senza un'altra uscita, cercai di fare i primi passi tenendomi in equilibrio sulle corde. Tremavo. Guardavo in giù, ma subito deviavo lo sguardo. Non era per niente facile guardare la corrente rumorosa di laggiù. Immaginavo che uno dei tronchi portati dal fiume potrebbe essere me stesso. E questo sommato all'angoscia di voler uscire subito da lì generava una sensazione conflittuosa. Pensavo indefinite volte alla possibilità di desistere, alla paura di cadere e a tante altre insicurezze. Ma non desistii. Per quanto distante potesse essere l'altra riva non avevo motivi per fermarmi. Mi restava proseguire in avanti. Dopo che la traversia fu conclusa, guardai quel grande buco dietro a me e cercai di comprendere la sua reale dimensione. Arrivai, infine, all'altra riva”.

Ancora in questo periodo di convalescenza, Rodrigo ricorda di un altro momento importante. Percependo la sofferenza di sua mamma dinnanzi al suo dolore le disse: “non voglio vederti preoccupata con i miei dolori. Devi capire che tali dolori sono miei. Comprendi che ciò che mi fa male è mio. Sono situazioni che io ho bisogno di vivere, sono passi che io devo fare, questa è la croce che io devo abbracciare”.

Fu questo abbraccio personale che, lungo la sua vita, diede forze a Rodrigo per andare oltre le proprie difficoltà e donarsi: quando bambino, con i suoi piccoli gesti di amore al prossimo; quando adolescente, amministrando con gli amici uno studio grafico amatoriale che destinava parte dei suoi utili ai poveri e alla formazione di “uomini nuovi”; quando giovane, partecipando attivamente al Centro Accademico della sua facoltà di Psicologia e ad un partito politico.

Rodrigo, ancora nel 2000, fece un'altro intervento chirurgico dovuto il rifiuto della protesi organica e al sorgere di una fistola nel palato. Dopo di questo, ancora altri due interventi.

Oggi Rodrigo abita in Italia dove si specializza in “Fondamenti e prospettive di una cultura dell'Unità”, presso l'Istituto Universitario Sophia, del Movimento dei Focolari. La disponibilità è la stessa di sempre. Grazie a tale disposizione è conosciuto come il “sindaco di Tracolle”, residenza degli studenti dove abitano 14 alunni di diversi paesi, e la cui amministrazione Rodrigo prese con dedizione. Nel futuro, pensa di sposarsi e, sopratutto, “servire l'umanità”. Il giovane identifica l'amore di Dio con una rosa.

 “Quella rosa era la grande scoperta che feci nella mia vita, era esattamente la rivelazione di Dio in ogni fase vissuta, in ogni momento; percepii la gioia necessaria per vivere ogni esperienza. Questa rosa rappresentava niente meno che Dio, essendo coltivata in me da piccolo. Secondo Chiara Lubich, è molto facile sentire attorno a noi che non esistono rose senza spine. Ma in verità non esistono spine senza rose. Dietro ogni fatto, ogni avvenimento, sia doloroso o no, piccolo o grande, forte o debole, Dio è lì e ci accompagna”. E il racconto finisce così: “Mi sento bene. Trovai la rosa”.



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